La rivista formafluens pubblica una recensione sull'importante volume di interviste a Amelia Rosselli È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-1995, a cura di Silvia de March e Monica Venturini. Il libro comprende numerosi documenti difficilmente reperibili. Una nuova occasione per approfondire le tappe di un percorso unico nella poesia del Novecento. Inoltre, è accompagnato da un brano di traduzione de La libellula a cura di J.C. Vegliante. Grazie a tutti quelli che rendono possibile e reale lo studio di questa poesia.
La revue formafluens publie un compte-rendu sur l'imposant volume qui recueille les interviews à Amelia Rosselli, dont des documents rares et difficilement accessibles autrement. C'est une nouvelle occasion pour approfondir les étapes d'un parcours unique de la poésie du XXe. L'article est accompagné par l'extrait d'une traduction de La libellula de J.C. Vegliante. Merci à tous ceux qui rendent possible et réelle l'étude de cette poésie.
"Contrariamente alle rappresentazioni comuni che si focalizzano esclusivamente sul percorso biografico dell’autrice — dall’assassinio del padre alla malattia mentale, dall’esilio internazionale alla vita romana — si potrebbe far notare invece quanto questo percorso, a prima vista eccezionale, sia paradigmatico della storia d’Italia del dopoguerra: nell’indelebile rapporto con il trauma non riassorbito della guerra e del fascismo, nella problematica della diaspora all’estero (non solo nel periodo del fascismo ma dall’Ottocento in poi), infine nelle metamorfosi che conosce la società italiana.
Il pensiero così strettamente poetico di Amelia Rosselli non si ricollega ad alcuna forma di ideologia storica, ma si dà come obbiettivo di isolare e decostruire il materiale di cui questa ideologia è fatta: il linguaggio. L’assoluta fiducia nella forza costruttiva e distruttiva del linguaggio è infatti dialetticizzata nella convinzione che il poeta, pur ‘di ricerca’, non è mai staccato da un pubblico cosciente (come dimostrano alcune riflessioni sugli eventi di Castelporziano, p. 34).
Tale posizione non può pertanto identificarsi in alcuna praxis o programma poetico contemporaneo (da cui la distanza verso il nucleo più rigido del Gruppo ’63, p. 189), né in una semplice visione di poesia engagée, di parte o di partito (p. 32). Emerge la solitudine della scrittrice, nonostante il fitto dialogo con molti intellettuali in un’epoca in cui la scrittura è comunque l’appannaggio dalla dominazione maschile, come sottolineano gli interventi di Dacia Maraini e Bianca Maria Frabotta (p. 9-13). Pur eludendo qualsiasi riduzione a militantismo ideologico, vengono chiaramente assunti alcuni discorsi gender, come dimostrano anche alcuni personaggi femminili della sua poesia: Hortense ripresa da Rimbaud o Esterina da Montale (La libellula, p. 48)..." Continua qui.
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"Contrariamente alle rappresentazioni comuni che si focalizzano esclusivamente sul percorso biografico dell’autrice — dall’assassinio del padre alla malattia mentale, dall’esilio internazionale alla vita romana — si potrebbe far notare invece quanto questo percorso, a prima vista eccezionale, sia paradigmatico della storia d’Italia del dopoguerra: nell’indelebile rapporto con il trauma non riassorbito della guerra e del fascismo, nella problematica della diaspora all’estero (non solo nel periodo del fascismo ma dall’Ottocento in poi), infine nelle metamorfosi che conosce la società italiana.
Il pensiero così strettamente poetico di Amelia Rosselli non si ricollega ad alcuna forma di ideologia storica, ma si dà come obbiettivo di isolare e decostruire il materiale di cui questa ideologia è fatta: il linguaggio. L’assoluta fiducia nella forza costruttiva e distruttiva del linguaggio è infatti dialetticizzata nella convinzione che il poeta, pur ‘di ricerca’, non è mai staccato da un pubblico cosciente (come dimostrano alcune riflessioni sugli eventi di Castelporziano, p. 34).
Tale posizione non può pertanto identificarsi in alcuna praxis o programma poetico contemporaneo (da cui la distanza verso il nucleo più rigido del Gruppo ’63, p. 189), né in una semplice visione di poesia engagée, di parte o di partito (p. 32). Emerge la solitudine della scrittrice, nonostante il fitto dialogo con molti intellettuali in un’epoca in cui la scrittura è comunque l’appannaggio dalla dominazione maschile, come sottolineano gli interventi di Dacia Maraini e Bianca Maria Frabotta (p. 9-13). Pur eludendo qualsiasi riduzione a militantismo ideologico, vengono chiaramente assunti alcuni discorsi gender, come dimostrano anche alcuni personaggi femminili della sua poesia: Hortense ripresa da Rimbaud o Esterina da Montale (La libellula, p. 48)..." Continua qui.
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